Il Molise non esiste, R-Esiste e merita di essere visitato adesso.
Campeggia così la frase simbolica su una parete diroccata a Civitacampomarano, uno dei tanti borghi molisani interessati dal fenomeno dello spopolamento.
In un’estate post-Covid in cui siamo stati portati a rivisitare il nostro concetto del viaggio in turismo di prossimità, il Molise ci è parso una sorta di luogo mistico da visitare, dovendo rinunciare a mete più ‘esotiche’. Una destinazione che, seppur non gettonata e desueta, è conosciuta da molti di noi per il mitico attraversamento percorrendo la A14. Nella traversata da Sud a Nord, il cartello Molise pare una luce in fondo al tunnel della Puglia. Giunti al confine tra le due regioni, si tira un sospiro di sollievo: ‘Ma quanto è lunga la Puglia?’. Il sospiro tuttavia è di breve durata, perché, in un batter d’occhio, si è già in Abruzzo.
‘Tutto qui?’. Il brevissimo tratto in autostrada parallelo alla costa non lascia trapelare alcun indizio. Il Molise giace silenzioso, imperscrutabile, pronto ad accogliere chi decide di fermarsi oltre quel tratto d’asfalto simbolo di modernità. Non rincorre i turisti, sono i viaggiatori a cercarlo.
E così lo abbiamo cercato quest’estate e lo abbiamo trovato. Abbiamo scoperto che il Molise esiste e che merita di essere visitato, adesso.
Merita di abbandonare quella A14 e perdersi tra i suoi borghi per comprendere il processo di abbandono al quale sono sottoposti. Un viaggio che mette a nudo anche la propria identità di cittadino italiano, del Sud, e l’eterno dilemma che pende sulla testa di ciascuno di noi come una spada di Damocle: ‘Partire o restare?’.
Mi risuona alla mente una frase del celebre Paesologo italiano Franco Arminio:
“Per riabitare i paesi bisogna credere ai ragazzi che sono rimasti e a quelli che potrebbero tornare: abbiamo mai chiesto a qualcuno veramente se vuole tornare.”
Il Molise è l’emblema del fenomeno di emigrazione dal Sud Italia. Passeggiando per i suoi borghi diroccati, abbandonati, non ho potuto fare a meno di pensare al lascito immenso, forse quasi irrecuperabile, causato dalla brama di opportunità offerte dal Nord. L’ho provato sulla mia pelle a 18 anni quando una metropoli come Milano era ai miei occhi una sorta di El Dorado rispetto alla tranquilla realtà di Lecce di circa 10 anni fa. Così anch’io ho lasciato il Sud, sono stata risucchiata dal fenomeno dell’emigrazione, ho appreso tutto ciò che potevo e poi sono rientrata.
Il Molise non è una semplice regione da visitare. È un luogo che spinge a riflettere e ad interrogarsi su se stessi e sugli effetti dell’abbandono dei paesi, come accade per altri borghi in Puglia di cui ho anche parlato nel mio articolo su Casamassima. Allo stesso tempo, la sua natura rigogliosa e inesplorata lascia meravigliati.
Sappi perciò che il Molise esiste e un viaggio in questa terra può trasformare la tua prospettiva. Di seguito il mio itinerario di 2 giorni e consigli su cosa fare e dove dormire.
Itinerario di 2 giorni nel Molise (che esiste)
Giorno 1
Varchiamo il confine del Molise uscendo dalla Puglia da una strada inusuale rispetto alla fatidica autostrada. Una strada interna che è un continuum di paesaggio tra i Monti della Daunia e le valli del Basso Molise. Ad accoglierci, colline dorate con la sembianza di dune che si stagliano contro il cielo azzurro, un miraggio nella cornice paesaggistica rurale.
Campi di girasole ai bordi della strada e qualche accenno di casale dalle pareti sbiadite dal sole ci accompagnano lungo la traversata fino alla prima sosta, Bonefro.
Arriviamo a Bonefro verso l’ora di pranzo, con tutte le buone intenzioni di mettere qualcosa sullo stomaco. Di lì a poco saremo rimaste disilluse. È metà settembre ma i raggi del sole non lasciano tregua. Quei pochi negozietti con le saracinesche abbassate ci mostrano la realtà così com’è. D’altronde, sono le 14, cosa ci aspettavamo? Non ci lasciamo scoraggiare e intraprendiamo la nostra esplorazione per testimoniare che il Molise esiste.
Bonefro è un tipico borgo incastonato tra i colli tagliato in due dalla strada provinciale. Arrivandoci in auto, non potrai fare a meno di fermarti al Belvedere che si affaccia sul paesaggio, specchio di ciò che il Molise ha in riserbo per noi. Casupole arroccate, dalle porte e finestre sgangherate lasciano presagire il vuoto che quegli edifici vivono da anni, forse decenni.
Chissà dove saranno i proprietari di quelle abitazioni poco pretenziose ma che nel loro insieme, immaginandole piene di vita ed illuminate, sono il racconto di una comunità resiliente. Ci addentriamo tra le viuzze del centro ed è come camminare in un presepe, in un’altra epoca.
Fa caldo. Il silenzio regna sovrano, interrotto solo da una coppia ben matura di esperienze che, alla frescura del garage, si accinge a lavare grossi recipienti celesti tipici delle case delle nonne. È il periodo della salsa e loro sono un baluardo del borgo molisano, non hanno ceduto ad andare via. Li salutiamo, e proseguiamo il nostro percorso in auto verso Colle d’Anchise, dove abbiamo prenotato il nostro albergo per la notte.
La Piana Dei Mulini, un albergo diffuso, è un piccolo borgo rurale di pietra che sorge nei pressi del fiume Biferno. Ed è proprio l’acqua, infatti, ad essere stata il suo motore principale nell’antichità, grazie al mulino che aveva alimentato il borgo e ne aveva permesso l’espansione, tuttora visibile. Fu poi riconvertito a centrale idroelettrica quando la pratica della transumanza iniziava a diradarsi e poi completamente abbandonato per decenni.
L’albergo è una vera e propria oasi immersa nella natura e nella storia che si respira tra le sue pareti e camminando lungo il percorso del fiume, per un tratto ripulito e bonificato dal proprietario della struttura e dichiarato Sito di Interesse Comunitario (SIC). Le giornate in Molise sono lunghe e non lasciano spazio a tarde serate.
Godiamo gli ultimi stralci di luce del pomeriggio distesi sul prato, con il fiume in sottofondo e un ottimo aperitivo prima di cena, che consumiamo nel cortile del vecchio borgo, con prodotti preparati dall’albergo.
Con la testa sul cuscino, prima di dormire, ripercorro la giornata nella mente. Sono in Molise da poco più di mezza giornata ed il tempo pare già essersi dilatato.
Giorno 2
La colazione a La Piana dei Mulini è uno di quei momenti da prendere sul serio, senza fretta, e lasciarsi cullare dai racconti e parole del proprietario che ha trasformato la sua passione in un mestiere. Inizia il viaggio nel gusto tra le torte preparate ‘in casa’ e la tradizionale colazione di una volta con pane e formaggio locali.
Ben rifocillate per la giornata, diamo inizio al nostro itinerario molisano, una sorta di anello che percorreremo iniziando dalla destinazione più occidentale per poi rientrare in albergo la sera. La prima tappa è la cascata di Castel San Vincenzo, a poco meno di un’ora in auto da La Piana dei Mulini.
Le cascate, situate a qualche chilometro dal paese, non sono segnalate in alcun modo. Ci affidiamo perciò alle indicazioni di alcuni addetti ai lavori stradali e, dopo pochi metri, siamo catapultate nel mondo delle favole. Se mi venisse chiesto di raffigurare l’Eden, lo immaginerei come lo scorcio delle cascate di Castel San Vincenzo.
Come se si aprisse un varco spazio-temporale, ci si ritrova in un giardino delle ninfe, dove ogni creazione della natura è perfetta e collocata al suo posto, anche quel ramo appollaiato che sporge verso la pozza d’acqua verde smeraldo, come se volesse prolungarsi e raggiungere la cima della cascata. Siamo fortunate. Oggi, questo angolo di paradiso è tutto per noi, tuttavia in estate e soprattutto nei fine settimana risulta frequentato. Ne respiriamo la freschezza e purezza fino alla fine.
Ci dirigiamo verso il borgo di Castel San Vincenzo con una breve sosta all’omonimo lago che, sebbene sia artificiale, pare naturalmente incastonato tra le vette delle Mainarde che riflettono nell’acqua turchese. Una zona del lago è adibita alla balneazione e al campeggio perciò è un’ottima sosta da annotarsi.
Proseguiamo dunque verso il borgo che, come nella giornata precedente a Bonefro, ci lascia ancora di più attonite.
Castel San Vincenzo, circa 600 anime, sorge infatti su uno sperone di roccia, ben visibile sopratutto dall’Abbazia di San Vincenzo al Volturno. Ci inerpichiamo nel borgo verso mezzogiorno, invaso a quell’ora dall’odore irresistibile proveniente dai fornelli di cui è possibile sentirne il rumore, tanto sono piccole le stradine e addossate le abitazioni. Anche qui, assistiamo ad una sfilata di edifici fatiscenti, deturpati, colonizzati oramai da piante rampicanti. Qualcuno resiste ancora a Castel San Vincenzo, parola dei fornelli.
Riprendiamo l’auto e, nel percorso a ritroso, ci fermiamo a Carpinone, un borgo che deve la sua recente popolarità all’associazione Molise In Action che ha riaperto i sentieri per raggiungere le cascate collocate a a pochi passi dal paese. Un paradiso per godere la frescura della natura e dell’acqua sorgiva, immerso completamente nel verde, come essere in una meta esotica.
Dopo una pausa ristoratrice, risaliamo il sentiero e sbuchiamo alle spalle del Castello. Se sei arrivato sino a Carpinone, non puoi non entrare nel suo castello abbandonato. Una fortificazione massiccia che risale al Medioevo, alla quale è possibile accedere tramite un cancello d’ingresso situato in un anonimo vicolo del centro. Ah, al lato del cancello si trova il citofono con l’iscrizione Castello, per chi volesse fare il tentativo di suonare.
Chi l’avrebbe mai detto che la visita in Molise implicasse anche l’entrata in un Castello abbandonato dopo una mattinata tra cascate paradisiache? Neppure gli abitanti di Carpinone. Questa è una delle ragioni per cui il Molise deve essere visitato adesso.
Le grandi finestre del piano alto del Castello regalano foto mozzafiato di scorci di Carpinone incorniciati dalle edere ormai abitanti del piano nobile.
E poi lei, il ricordo più struggente del soggiorno in Molise. La signora Elena, nella sua casetta di fronte alla Chiesa Madre, situata poco dopo l’uscita dal Castello, è intenta a lavorare il tombolo adagiata sul suo balconcino: di fronte a lei, i tetti a spiovente di un paese che illude e poi disillude. L’inimitabile tintinnio dei tomboli ci regala qualche minuto di condivisione con la signora, esterrefatta da due ragazze che hanno deciso di visitare il Molise. Nei suoi occhi la nostalgia e l’amara consapevolezza di ciò che verrà: “Chi ci deve essere dopo di me a fare il tombolo? Chi vuole più imparare questi mestieri?”.
Una sensazione di malinconia si muove dentro, vorremmo restare lì per sempre.
L’ultima tappa prima del rientro in albergo è il ponte tibetano a Roccamandolfi (ingresso libero). Un ponte di metallo sospeso nel vuoto nel contesto paesaggistico aspro della zona, quasi volesse essere una metafora karmica per chiudere il nostro itinerario. E ci sentiamo così, sospese tra la credenza che il Molise esistesse e niente più e ciò che abbiamo realmente osservato e vissuto.
Durante il soggiorno in Molise, mi son chiesta, ripetutamente, come sia possibile che alcune aree diventino forti calamite di investimenti e dunque di turismo rispetto ad altre che vengono lasciate decadere.
Cosa possiamo fare noi? Le possibilità sono molteplici e richiederebbero uno spazio di espressione più ampio ed idoneo. La risposta però che mi sento di dare in questa finestra di rete aperta ai viaggiatori è quella di visitarlo, adesso. Il Molise esiste, cari viaggiatori.
Ciò che porterò con me del viaggio in questa regione-scrigno è la pazienza, un’arte ormai dimenticata ma che il Molise conserva, forse con sin troppa perseveranza. Pazienza nell’attesa di qualcuno che ne affermi l’esistenza, mentre i tomboli continuano a tintinnare finché le mani della signora Elena resistono.